Nonostante se ne parli meno, il virus dell´influenza aviaria
H5N1 ad alta patogenicità continua a circolare negli allevamenti di bovini e
altri animali negli Stati Uniti, con pochi cambiamenti rispetto alla scorsa
stagione. A lanciare un nuovo campanello d´allarme è uno studio condotto dalla
Cornell University, che ha dimostrato la capacità del virus di sopravvivere per
oltre 120 giorni all´interno di formaggi prodotti con latte crudo, a meno che
non siano particolarmente acidi, come la feta.
I ricercatori hanno replicato in laboratorio la produzione
di formaggi da latte crudo contaminato, seguendo le normali procedure casearie,
e hanno verificato la sopravvivenza del virus anche in alcuni campioni
commerciali risultati effettivamente contaminati. I dati suggeriscono che i
protocolli attualmente considerati sicuri – come i 60 giorni di stagionatura a
temperatura controllata – potrebbero non bastare per inattivare il virus.
Un elemento chiave sembra essere il pH del formaggio: i
virus sono risultati vitali in formaggi con pH tra 5,8 e 6,6, mentre in quelli
con pH pari o inferiore a 5 non sono stati rilevati. L´aumento dell´acidità,
anche attraverso l´aggiunta di acido lattico, si conferma quindi un fattore
determinante per l´eliminazione del virus.
Ulteriori test effettuati su furetti – modello animale
sensibile ai virus influenzali – hanno mostrato che il consumo di formaggio
contaminato non ha provocato infezioni, a differenza del latte crudo
contaminato, che in alcuni casi ha trasmesso il virus. Ciò potrebbe dipendere
dalla maggiore diffusione del latte nelle mucose rispetto al formaggio, che
raggiunge rapidamente l´ambiente acido dello stomaco.
Lo studio suggerisce la necessità di strategie preventive
più mirate: controlli rigorosi sul latte destinato alla produzione di formaggi
crudi, trattamenti termici leggeri ma efficaci, e interventi sul pH tramite
fermentazioni o aggiunta di acidificanti. In attesa di nuovi standard di
sicurezza, è importante adottare un approccio prudente, senza allarmismi, ma
con consapevolezza dei potenziali rischi.
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